Ne' apologia ne' diffamazione. Solo un'altra pubblica riflessione.
La permanenza in zone selvagge di questa nostra madre Terra mi fa pensare alle origini dell'umanita'.
Colgo lo spunto dalla mia esperienza personale: i progetti di conservazione ambientale formati da al massimo una decina di persone sono quelli in cui si riscontra maggiore sinergia. Quando il numero di partecipanti si aggira sopra la quindicina e' difficile organizzare il tutto, ognuno e' portato a pensare piu' per se stesso e la cooperazione salta.
Ora, non voglio intrattenervi con un'ampollosa dissertazione sul Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, testo del maestro Rousseau pioniere di un'antropologia ancora tutta da inventare, o su altri testi concernenti tale tema, Tonnies e company. Il mio pensiero spiccio parla di comunita'.
L'uomo, nel passaggio da animale a genere umano, perde la dimensione di branco e assume quella di famiglia. La comunita' e' un passo successivo, fondamentale. Dimensione che stiamo perdendo, a mio avviso. Nel villaggio globale caratterizzante la modernita', un ruolo preponderante e' rivestito dalle citta', all'interno delle quali e' arduo ritrovare la dimensione comunitaria.
Parliamo potabile: Esopo insegna. Il topo cittadino depreca la vita da formica che il topo dei campi conduce: erba e grano non sono abbastanza per un pranzo come si deve. In citta', invece, si mangia legumi, fichi secchi, cacio, pane, miele e frutta. Pero', quando arriva il piu' forte, i topi devono rifugiarsi nelle buche del pavimento. Il campagnolo non ci sta a vivere nella paura e se ne ritorna in campagna.
Cosa ci dice questa fiaba? Valori come la fiducia, la pace e la cooperazione esistono con piu' facilita' nell'ambito della piccola comunita', in questo caso, ma non necessariamente, campagnola. Erba e grano non sono poi cosi' male. Certo, non sono le prelibatezze cittadine, ma non si deve stare all'erta mangiando.
La certezza della coesione e dell'unita' propria della dimensione comunitaria ci viene suggerita da una delle piu' famose realta' comunitarie del mondo, quella dei primi discepoli. L'immagine idilliaca della prima comunita' dei discepoli non e' esattamente cio' che ritroviamo quotidianamente nelle nostre esperienze comunitarie, ma ci si avvicina, o almeno ci fornisce un valido vademecum. Negli Atti, la comunita' era un solo cuore e una sola anima. Motore della comunita' e', quindi, l'armonia insita, caratteristica difficilmente ritrovabile quando l'insieme di persone non raggiunge la grande dimensione propria della citta'.
Per concludere, ci resta da individuare il punto in cui la comunita' diventa troppo grande per mantenere le proprie caratteristiche insite. Ma, per dirla con i sofisti, se tolgo un granello di sabbia ad un mucchio, è ancora un mucchio, così se ne tolgo due e così via. Tuttavia 10 granelli non fanno un mucchio. Qual è allora il granello che fa passare da un mucchio ad un non-mucchio?
La permanenza in zone selvagge di questa nostra madre Terra mi fa pensare alle origini dell'umanita'.
Colgo lo spunto dalla mia esperienza personale: i progetti di conservazione ambientale formati da al massimo una decina di persone sono quelli in cui si riscontra maggiore sinergia. Quando il numero di partecipanti si aggira sopra la quindicina e' difficile organizzare il tutto, ognuno e' portato a pensare piu' per se stesso e la cooperazione salta.
Ora, non voglio intrattenervi con un'ampollosa dissertazione sul Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, testo del maestro Rousseau pioniere di un'antropologia ancora tutta da inventare, o su altri testi concernenti tale tema, Tonnies e company. Il mio pensiero spiccio parla di comunita'.
L'uomo, nel passaggio da animale a genere umano, perde la dimensione di branco e assume quella di famiglia. La comunita' e' un passo successivo, fondamentale. Dimensione che stiamo perdendo, a mio avviso. Nel villaggio globale caratterizzante la modernita', un ruolo preponderante e' rivestito dalle citta', all'interno delle quali e' arduo ritrovare la dimensione comunitaria.
Parliamo potabile: Esopo insegna. Il topo cittadino depreca la vita da formica che il topo dei campi conduce: erba e grano non sono abbastanza per un pranzo come si deve. In citta', invece, si mangia legumi, fichi secchi, cacio, pane, miele e frutta. Pero', quando arriva il piu' forte, i topi devono rifugiarsi nelle buche del pavimento. Il campagnolo non ci sta a vivere nella paura e se ne ritorna in campagna.
Cosa ci dice questa fiaba? Valori come la fiducia, la pace e la cooperazione esistono con piu' facilita' nell'ambito della piccola comunita', in questo caso, ma non necessariamente, campagnola. Erba e grano non sono poi cosi' male. Certo, non sono le prelibatezze cittadine, ma non si deve stare all'erta mangiando.
La certezza della coesione e dell'unita' propria della dimensione comunitaria ci viene suggerita da una delle piu' famose realta' comunitarie del mondo, quella dei primi discepoli. L'immagine idilliaca della prima comunita' dei discepoli non e' esattamente cio' che ritroviamo quotidianamente nelle nostre esperienze comunitarie, ma ci si avvicina, o almeno ci fornisce un valido vademecum. Negli Atti, la comunita' era un solo cuore e una sola anima. Motore della comunita' e', quindi, l'armonia insita, caratteristica difficilmente ritrovabile quando l'insieme di persone non raggiunge la grande dimensione propria della citta'.
Per concludere, ci resta da individuare il punto in cui la comunita' diventa troppo grande per mantenere le proprie caratteristiche insite. Ma, per dirla con i sofisti, se tolgo un granello di sabbia ad un mucchio, è ancora un mucchio, così se ne tolgo due e così via. Tuttavia 10 granelli non fanno un mucchio. Qual è allora il granello che fa passare da un mucchio ad un non-mucchio?
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