Thursday, April 7, 2016

Partire verso il futuro (ancora una volta?!)

E come sempre sale quella sensazione, spinte contraddittorie si profilano all'orizzonte dell'anima. Da una parte, l'amaro in bocca per non aver visto tutti gli amici e cari, o per non avergli dedicato abbastanza tempo, non aver costruito dei ricordi insieme; la gioia per gli stimoli ricevuti, l'arte assaporata, la musica assorbita, le serate approfittate, quelle espressioni artistiche e conviviali che assomigliano inevitabilmente a ciò che ha caratterizzato la nostra adolescenza. Dall'altra, la sete per le emozioni che si proveranno quando l'ennesimo volo aereo terminerà nell'ennesimo paese, dove mille colori, suoni e esperienze ci arricchiranno di un tesoro vero quanto impalpabile; dove un altro amico riuscirà a entrare nei fiordi della nostra esistenza e capirci come se fossimo cresciuti assieme; dove un nuovo genere musicale ci farà ballare e riflettere sulle infinite commistioni ritmiche, stupendoci ancora una volta dell'importanza della musica nelle più disparate culture.

Probabilmente nessuno lascia il luogo che a lungo ha chiamato casa senza una minima titubanza nelle membra. Probabilmente questa situazione si complica quando il nostro futuro è un po' incerto (in realtà questa cosa ci affascina, ma sembra non essere una cosa comunemente accettabile, men che meno accettata). Probabilmente, e prometto che ora smetto di fare il vago, ci sale anche più di qualche dubbio sul perché continuiamo a partire, a mettersi in gioco. Cazzo, qualche domandina ce la facciamo (e se non ce la facciamo da soli ce la fanno gli altri). Perché, per esempio, quattro semplici parole in fila come "contratto a tempo indeterminato" non ci fanno venire l'acquolina in bocca? Perché offerte lavorative a meno di un'ora di volo dal luogo natio non destano la nostra attenzione? Perché la stabilità non è un valore che idealizziamo? Boh, se lo sapessi non starei qui a farmi ste pippe mentali. Magari perché ci siamo dovuti adattare a tempi di cambi repentini, a insicurezze transnazionali, al villaggio globale. Ci chiamano generazione Erasmus* per questo no?

Sta di fatto che, al duty free di Malpensa/Tessera/Fiumicino, tra l'acquisto di un pezzo di speck affumicato, la settimana enigmistica e i pomodori secchi (diplomazia degli spaghetti!), mentre ci stiamo interrogando sull'importanza di continuare tale stile di vita, ci arriva una telefonata che cambia le carte in tavola, in una mossa da esperto croupier. Stavamo giusto riflettendo sul tuo futuro più in là dei sei mesi a venire, che ci sembravano già definiti, quando la voce dall'altro capo del telefono (e del mondo) ci dà una notizia che sconvolge tutti i possibili piani e progetti. Ed è lì che ritroviamo il sorriso sulla faccia, scaturito dalla gioia dell'imprevedibilità della vita che un po' spaventa, ma tanto piace, un sorriso che ci ricorda quanto sia importante pianificare il nostro futuro, avere degli obbiettivi e fare tutti gli sforzi possibili per perseguirli, ma allo stesso tempo essere pronti a mettersi in gioco. Il futuro rimane da scrivere, e lo scriviamo noi. Non ci deve far paura.


* Disclaimer: in Italia, nel anno accademico 2013-2014 sono 26331 i studenti e ricercatori universitari che hanno beneficiato di una borsa di studio Erasmus, circa 10% sul totale delle nuove matricole per anno accademico e l'1,6% sul totale degli iscritti. Essendo che poco più del 40% dei giovani italiani frequentano l'università, vuol dire che stiamo parlando comunque di una fetta esigua del totale.