Sunday, May 19, 2019

La caduta dell’impero, Beyoncé e le persone

Nella curva discendente di Giambattista Vico, l’impero, il capitalismo, la corsa sfrenata all’arricchimento monetario e materiale sta arrivando alla frutta. Probabilmente un cambio de paradigma avverrà presto, o almeno si spera, ma non sarà il prodotto di una redenzione, o un progresso collettivo che ha spinto l’umanità a rendersi conto di quanto faceta fosse quest’idea di sviluppo. Ideali socialisti e comunisti, che molto hanno fatto nel campo dello sviluppo sociale, non sono riusciti a tenere la rotta quando incaricati di gestire nazioni. Movimenti hippie hanno avuto un impatto nel corto termine ma son ben presto diventati una moda. Integrazioni sovranazionali hanno dato dei contributi sostanziali, ma a un ritmo troppo lento per stare al passo del cambio. Stiamo arrivando alla frutta, o meglio, la frutta non cresce più: il clima sta dando allarmi difficili da ignorare, che imporranno manu terra un nuovo modello. Mutare o perire. Ma di questo ne parliamo un’altra volta.

Anche nel periodo di decadenza di un impero però, nella tristezza della rassegnazione dell’industria zoppa, del ceto medio insoddisfatto che si sorprende nuovo reazionario, dell’individualismo vile e sadico che lascia poco posto a una visione collettiva, brillano ancora antichi sfarzi. Lo spettacolo continua. Per fortuna. In un’arena chiamata Coachella, moderni gladiatori si affrontano al suon di note. Fuori, l’invasione degli oceani e la crescita dei barbari. O il contrario. In scena, show mirabolanti, apoteosi musicali, momenti d’arte che potrebbero essere tra le espressioni più alte della cultura moderna. E in mezzo a tutto ciò, un’esibizione che cambia le regole del gioco. Di cui io, relegato alla periferia digitale del villaggio globale, vengo a conoscenza solo un anno dopo, ma di certo questa non è una buona ragione per non rifletterci.

Homecoming di Beyoncé, è un manifesto popolare dell’affermazione del sé, della donna, della cultura condivisa da un gruppo. Chi cazzo se lo sarebbe aspettato 15 anni fa mentre bevevamo un Bacardi Breezer alla sagra del paese ascoltando Crazy in Love, eh? Difficile da etichettare come letteratura o musica colta, magari più sempliciotta di un pezzo del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza, ma non per questo, o forse proprio non per questo, meno importante. Non è Nina Simone, né Malcom X, né Chimamanda Ngozi Adichie, anche se li ritroviamo tutti dentro. È Beyoncé che dice “Ooh, boy, sembra che ti piaccia quello che vedi, perché non vieni a dargli un’occhiata?” riferendosi al suo culo. E poi aggiunge che forse sto boy lo potrà pure avere sto culo, basta che non lo tocchi. Parla di rispetto, a modo suo, a modo popolare.



Parla di empowerment delle donne, non di quote rosa (quote rosa!!! Chi è quel coglione che davvero pensava che chiamarle quote rosa andasse in direzione di un empowerment femminile?), né espressamente di diritti civili. Non usa espressioni idilliache, ma i concetti sono tutti lì, a disposizione di un popolo che magari non ha fatto l’università, che si trova a lottare per il pane quotidiano, ingabbiato in un modello capitalista che lo tratta da consumatore e non da persona. O a dei privileged whities che hanno i soldi per andare al Cohacella. E la signora Carter, strizzatina d’occhio al suo matrimonio con Jay-Z e al suo essere madre, riesce ad essere donna, madre, sposa senza essere sottomessa ad un uomo, senza annullare la sua persona, ma al contrario proponendo valori di eguaglianza e affermazione. Non da rivoluzionaria, ma da riformista, sfruttando i canali del paradigma dominante.

E poi, la cornice del documentario serve quasi a dire “tu, intellettualoide che magari non hai capito quanto importante sia per una donna nera dei bassi fondi reclamare l’ownership del proprio culo, ti metto due tre citazioni colte, e delle frasi elaborate che ti fanno capire che volevo dire qualcosa d’importante”. Nel bailamme dell’industria pop, che macina grana vendendo talento e tendenze, Beyoncé riesce a passare una voce di consapevolezza e di cambio. Siamo ancora distanti da una società equa, ma il documentario sembra volto a sottolineare che il cambio si fa giorno dopo giorno e si fa con il popolo, mi gente. L’energia incredibile che sprizza da tutte le scarpe da ginnastica, i fiati, le facce sulla scena ci ricorda che c’è del buono e il buono siamo noi, le persone. La nostra passione, la voglia di fare, l’anelare a qualcosa di più. We are human, after all.

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