Sunday, October 15, 2017

Prudence, la mutilazione genitale e un pop-up concert a N’Djamena


Al dodicesimo parallelo Nord, confine tra un arido Sahel e una più lussureggiante zona tropicale, avvisaglie di inverno si traducono in pomeriggi più miti (tra i trenta e trentacinque gradi centigradi), addolciti da un livello accettabile di umidità che permette a labbra e pelle di non diventare eccessivamente aride. Un onnipresente strato di polvere avvolge la città, smorzando la forza dei raggi del sole. Il brulicare di persone indaffarate a vedere come sopravvivere anche oggi non si ferma nemmeno nelle ore più calde del giorno. Le pause sono scandite solamente dal richiamo del muezzin, interi quartieri si bloccano all’unisono come se giocassero a Uno, due, tre stella!

Miglior momento per prendere la moto. Per strada c’è solo qualche bambino ancora troppo piccolo per comprendere la grandezza di Dio, dei paraplegici abbandonati da Dio che trascinano i loro corpi camminando su mani dotate di infradito, e qualche SUV guidato da visipallidi a cui piace giocare ad essere Dio. Arrivando a Paris-Congo, il panorama cambia. Si capisce subito la profonda fede cattolico/protestante del quartiere dal numero di birre che sudano sui tavolini al lato della strada. I ragazzi sono già tutti lì, incredibilmente puntuali per un paese dove l’orario è un privilegio di pochi, con il loro strumenti in mano, pronti per un pomeriggio che ha già dall’inizio un sapore magico.

Una decina di casse di altezza umana sono pronte ad amplificare i loro virtuosismi. Non c’è pubblico. Fino a mezz’ora fa non c’era neanche un concerto. Un giro di birrette, due chiacchiere con un collaborativo padrone della sala prove del quartiere, la voglia di sperimentare qualche nuovo suono, ed il concerto è fatto. Pure Prudence è arrivata, con il suo fantastico sorriso e quegli occhi curiosi. Canta canti che accompagnano il raccolto nella parte Sud del Ciad, dove ha passato la sua infanzia. Il suono del balafon (xilofono pentatonico in legno) e della garaya (chitarrina a due corde tipica dei popoli nomadi) titilla la curiosità di qualche passante, molti dei quali pur essendo nati e cresciuti a N’Djamena hanno dei forti lacci spirituali e culturali con i villaggi di origine delle loro famiglie.

Si suona, ci si diverte. Probabilmente le sonorità elettroniche sorprendono più di qualcuno tra il pubblico, ma il resto è conosciuto, viscerale. Un gruppetto comincia a battere le mani. Lo show è assicurato. Noto che Prudence sta sudando copiosamente, quasi come le sopracitate birre, nonostante le sopracitate avvisaglie d’inverno. Mi racconta di avere la malaria, e le chiedo perché non sia rimasta a casa nonostante la febbre molto alta. Sorride e dice: volevo venire qui! La fierezza con cui lo dice, la gioia che sembra provare nel dirlo e la luce che traspare dai suoi occhi mi riempiono di emozioni. 

Secondo un’amica che lavora per un ONG cazzuta, l’85% delle donne in Ciad subisce la mutilazione genitale tra i 10 e i 20 anni. E’ la madre che sceglie quando la figlia è pronta per tale cerimonia. Farlo è una questione di onore per la famiglia tutta. Sei hai una figlia con clitoride, riceverai una dote minore dal futuro sposo, se qualcuno mai avrà il coraggio di chiederla in moglie. Meglio tagliare via quell’inutile parte del corpo femminile che rischierebbe di renderla più propensa ad impulsi sessuali, meno succube al marito, e certamente una donna indegna. Sporca. Le giustificazioni sanitarie utilizzate per cercare di dissuadere madri dal perpetrare tale gesto sulle loro figlie (spesso il taglio provoca infezioni che vengono lasciate incurate), non sembrano sortire effetto. 

L’instancabile e globale sforzo di dominazione del maschio, che ottiene il suo obbiettivo, giorno dopo giorno. In questo angolo del piantea, lo fa in nome di una norma culturale bassata sull’onore e la vergogna. Altrove, lo fa per altre vie. Non so se Prudence (nome inventato, naturalmente) sia mutilata. Non lo saprò mai. Ma quel momento di gioia, quella volontà di cimentarsi in qualcosa di nuovo, quella curiosità che ha dimostrato questo pomeriggio dice tutto. Ed è una soddisfazione per il mondo. Nonostante la malaria, nonostante poi abbia dovuto lavorare in fretta per preparare il cibo per tutta la famiglia, nonostante questo mondo sia votato più alla dominazione del prossimo che allo sviluppo del talento. Viva il clitoride.

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