Monday, June 20, 2016

Ode al disordine – Deliri inconsueti di un lunedì mattina

Sono solo, abbandonato e inerte. Distante dal tubo, non riesco a dare un senso alla mia esistenza. Sono preoccupato perché, non essendo attaccato al tubo, un fino strato di sostanza viscosa piano piano si sta seccando, e io non posso evitarlo. Sarà complicato superare quella otturazione creatasi all’apertura del tubo la prossima volta che qualcuno farà pressione sul tubo, mi viene da pensare. Il tubo, quel belloccio, sembra essere così sicuro di sé. Pieno, rotondo e longilineo allo stesso tempo, ornato da colori brillanti e frasi che infondono sicurezza. Coprire il tubo, questa è la mia funzione. È la mia ragion di vita? E il tubo si merita ciò? Non so, ma senza di lui mi sembra di essere nulla... Che bello è il tubo, ha uno charme inimitabile. Certe volte, vorrei essere come lui. Eppure mi fa incazzare, con quell’aria superba e egoista. Sta lì, adagiato su un lavabo o dentro un contenitore di ceramica, e sembra non aver bisogno di nessuno. Ma poi vedo che ogni tanto fa uscire quella sostanza pastosa che alberga, e mi viene da pensare che, in fondo, è altruista. Mi capisci? Sono ossessionato con il tubo.
Questo è ciò che il tappo del mio dentifricio mi ha confessato questa mattina. L’ho riportato in prima persona per non falsare quelle parole semplici seppur cariche di significato che mi hanno dato il buongiorno in un consueto lunedì. L’ho visto li, dopo un weekend fuori casa, affranto di aver passato così tanto tempo lontano da ciò che identifica come la sua ragione di vita. E, inevitabilmente, mi sono chiesto: che cos’è il tappo intrinsecamente? Non può essere anche lui riconosciuto come un oggetto a sé stante, o è obbligato ad essere considerato come un complemento di una bottiglia di acqua frizzante, o un tubo di dentifricio, o una crema per il viso? Che problema c’è a dare un’identità al tappo? C’ho pensato a lungo, mentre facevo un po’ di yoga per risvegliare le membra e il cervello. E la ragion d’essere del tappo ha scatenato, in uno di quei consueti voli pindarici che la mia mente dipinge, un parallelismo inatteso sull’ordine e il disordine delle cose. E sui limiti umani.

L’ordine è armonico, corretto, morbido. Però è un fottuto conservatore, bisogna ammetterlo. Perché l’ordine è strettamente legato con la tradizione, con il normale, con il comune. Con l’accettabile. Non si è mai sentita una mamma dire: “Vai a mettere in disordine la tua camera” (solo la Pagnini ha osato dirlo, sottolineerebbe qualche siddino). Il disordine è anticonformista. Un po’ anarchico, forse. Però è la fucina dell’innovazione. É la spinta schumpeteriana della distruzione creativa dove il progresso e l’innovazione radicale sono il frutto di un cambiamento dei fattori in gioco, non un semplice rimescolamento. È l’anti gattopardo. Dà la possibilità di esplorare l’inesplorato e, per questo, cambiare, sperimentare, superare i limiti umani. Limiti che ci autoinfliggiamo? Questo casomai lo trattiamo in un altro post.

Allora mi sono alzato dal tappetino dove facevo yoga, sono andato verso il bagno e ho detto al tappo del dentifricio: “non preoccuparti, il disordine è creativo”. E sono andato al lavoro felice.

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